Il Capitale Disumano by Antonio Bonifati - HTML preview

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intraprendente

Racconto erotico

(privo di volgarità)

Marco ha 20 anni, non è bello ma pur

sempre giovane, è squattrinato e studia

ingegneria all’università. I suoi compagni

di scuola che hanno scelto lettere nella

stessa

università,

fanno

sesso

regolarmente ma lui, nonostante abbia

una voglia che lo divora, deve studiare

duramente e non ha molto tempo libero

per cercarsi una ragazza e mantenere una

relazione.

A questo s’aggiunge il fatto che nel suo

corso ci sono pochissime ragazze; quelle

che ci sono di solito sono già fidanzate con

i suoi compagni di corso, che le

controllano a vista.

Le ragazze libere si contano sulla punta

delle dita e sono alquanto bruttine: come

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tutte le cose nella vita, resta solo quello che gli altri non vogliono. Il meglio se lo

pappano subito, non fai nemmeno in

tempo a vederlo.

Sembra che l’ingegneria attiri solo le

ragazze brutte, per cui non vale la pena di

impegnarsi, oppure che le poche ragazze

che ci sono l’abbiano scelta per fare

compagnia ai loro fidanzati che avevano

già prima di entrare all’università.

Del resto conquistare una ragazza, che

sia bella o brutta, comporta più o meno

sempre la stessa fatica. Questa situazione

ingiusta lo infastidisce.

Tuttavia Marco è un ragazzo molto

intelligente e riesce sempre ad ottenere

quello che vuole. Così si è inventato uno

stratagemma per copulare gratis e senza

fatica, senza dover fare la corte ad una

ragazza o impegnarsi in un fidanzamento.

A queste condizioni Marco è disposto ad

andare con ragazze sia belle sia brutte,

purché si tratti di ragazze giovani, di più o

meno la sua età.

Tra una lezione e l’altra, la mattina

prima che comincino le lezioni o prima di

andare a mensa o di tornare a casa, Marco

fa il giro delle aule non solo ad ingegneria,

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ma anche in tutte le facoltà preferite dal gentil sesso: lettere e filosofia, medicina,

scienze politiche, economia, etc.

Se è di passaggio non disdegna di dare

un’occhiata

in

qualsiasi

aula,

indipendentemente dalla facoltà. Infatti è

frequente che quelle poche ragazze che

frequentano le materie scientifiche più

dure siano le più disponibili e vogliose, per

il fatto che anche le loro voglie sono state

represse dalla durezza degli studi.

Potrebbe ben darsi che gli capiti qualcuna

il cui fidanzato è lontano e lei non sia

tanto male, e magari si è annoiata del

partner e sia disposta a tradirlo.

Se Marco capita in un momento in cui si

sta tenendo la lezione, gli interessa

comunque dare un’occhiata, per vedere

quante ragazze ci sono e dove di solito

usano sedersi, mandando giù tutte queste

informazioni

nella

sua

eccezionale

memoria, ad uso di quando ritornerà nella

stessa aula durante l’intervallo.

Ha studiato tutti gli orari delle lezioni e

programma un percorso, per poter essere

di passaggio durante la pausa tra una

lezione e l’altra, oppure prima dell’inizio

della prima lezione della giornata. Per

velocizzare i suoi rapidi spostamenti da

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un’aula all’altra Marco non va mai a piedi:

si muove sempre in bicicletta, anche

quando piove.

Durante la pausa tra una lezione e

l’altra o prima dell’inizio della lezione,

quando gli occupanti dei posti sono fuori

in piedi a prendere una boccata d’aria,

sorseggiare una bibita al bar vicino,

fumare una sigaretta o semplicemente a

chiacchierare da un’altra parte dell’aula,

nessuno fa caso a quello studente come

tanti, che con aria indolente e rassegnata

si trascina camminando goffamente di lato

tra le strette file di banchi, con lo sguardo

basso, attento ad ogni particolare degli

oggetti che sono stati lasciati sopra e

sotto il banco o sullo schienale dei sedili

ribaltabili.

Per Marco ormai è diventato facile capire

se quel posto è occupato da una ragazza,

anche se il quaderno è chiuso. Copertine,

sciarpe, guanti, cappelli, borse, borsellini,

matite, accendini… tutto porta il segno

inequivocabile della femminilità.

Quindi si siede nel posto accanto e apre

il quadernone degli appunti lasciato sul

tavolo dalla sua vittima prescelta, pronto

per l’imminente lezione o usato per

registrare quella precedente. Ormai non si

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sbaglia più e a confermarglielo è sempre

la palese scrittura di donna che si

presenta ai suoi occhi, sicura conferma

che quel posto è occupato da una ragazza.

Apre una pagina a caso tra quelle già

scritte e in uno spazio bianco, con una

comune penna biro dello stesso colore del

testo scrive il suo laconico messaggio: il

suo numero di cellulare seguito da una

frase sempre diversa che inventa subito

sul momento.

«Se ti va di fare l’amore», «quando vuoi

un uomo», «un ragazzo sempre disponibile

per te», «se ti senti sola», «quando hai

bisogno d’affetto», «per alleviare lo stress

dello studio», etc etc.

Qualsiasi frase, che faccia capire quello

che vuole o alluda al suo scopo senza

possibilità di fraintendimento e che possa

stimolare la fantasia delle donne, spesso

con ironia, senza essere troppo esplicita o

volgare fa bene al caso suo. La sua è una

calligrafia precisa e sicura, fredda ed

essenziale. Sembra quasi stampata a

macchina.

E’ fin troppo facile. Specialmente per le

materie letterarie, il messaggio viene

scoperto di solito solo durante le

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ripetizioni prima degli esami, quando tutti

gli appunti del corso vengono riletti, in un

momento di stress per l’esame imminente,

spesso proprio all’ultimo momento: la

notte del giorno prima degli esami.

E’ proprio quello che Marco vuole. Così

la

maggior

parte

delle

chiamate

avvengono di sera e a fine di ogni

trimestre, un periodo di grande impegno

sessuale per Marco. Per sua fortuna, lui

non è il tipo che si riduce a studiare

all’ultimo momento prima degli esami;

comunque non sarebbe possibile riuscirci

ad ingegneria.

Per le materie scientifiche invece, è più

probabile che il messaggio venga scoperto

prima, per il fatto che, per capire bene la

lezione corrente a volte bisogna dare una

ripassata a quelle precedenti, perché nella

scienza tutti i concetti e le verità sono

strettamente collegati tra loro.

Come stasera. Il suo cellulare squilla per

tre volte, numero sconosciuto e chiamata

anonima.

«Pronto? Chi parla? Chi è? Pronto?»

Marco ripete più volte ma senza fretta o

disappunto sempre gli stessi generici

saluti telefonici, per poter confermare alla

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ragazza che si tratta di un uomo, senza

rivelare niente di sé, nemmeno il suo

nome, mantenendola nel mistero e così

evitando

di

imbastire

qualsiasi

conversazione al telefono. Vuole che lei lo

consideri un estraneo, qualcuno che parla

poco, che non sa nemmeno il suo nome e

non è interessato a chiederlo.

Con la sua voce cavernosa e profonda,

sa di eccitare la curiosità e le fantasie

erotiche della ragazza che è dall’altra

parte del filo. Solo un attimo di pausa e la

risposta arriva puntuale, sempre dello

stesso genere.

Non presentazioni o domande, mai

insulti o arrabbiature, niente incertezze,

nemmeno un «d'accordo» esplicito, ma

solo indicazioni di dove andare e come

fare

per

entrare

discretamente,

a

conferma che la ragazza ci sta.

«Vieni tra mezz’ora alla Casa dello

studente, appartamento 16, blocco B. Dai

un leggero colpetto tre volte alla terza

finestra sul lato sinistro della porta

d’entrata, poi aspetta di fronte la porta

senza bussare. Quando nessuna delle mie

compagne d’appartamento è in giro verrò

io ad aprirti». Detto questo la ragazza

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riattacca senza altre parole, senza

nemmeno un saluto.

Marco è molto metodico e preciso,

ricorda perfettamente tutte le indicazioni

datogli a memoria, senza bisogno di

scrivere niente e non ha mai sbagliato.

Non gli è mai successo che la ragazza non

l’ha aperto o non si è presentata. Se

chiamano, dopo aver sentito quella sua

profonda voce virile, poi non ci ripensano

più.

Riesce sempre ad entrare senza essere

visto. A volte lo fanno entrare dalla porta,

a volte dalla finestra. In certi casi gli

danno

perfino

appuntamento

nel

boschetto

appena

fuori

il

blocco

residenziale, probabilmente in questo caso

sono tutte ragazze che convivono con il

loro fidanzato.

Questa volta lo venne ad aprire una

ragazza con i capelli a caschetto neri e

fare svelto, molto carina e con un fisico

ben proporzionato. Marco entrò, chiuse la

porta alle sue spalle da dietro, col braccio

e senza voltarsi, mentre lei indietreggiava.

Lui restò di fronte a lei guardandola in

modo cinico e distaccato. Lei ricambiò con

uno sguardo misto di stupore e curiosità,

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ma solo per un attimo. Era nervosa e si guardava intorno sospettosa.

Tutte le porte delle camere delle sue

compagne di stanza erano chiuse e

bisognava approfittare del momento.

Qualcuna poteva uscire all’improvviso per

prepararsi una tazza di caffé in cucina o

per andare al bagno e sorprendere lei con

il ragazzo sconosciuto se si attardava

ancora con lui nel corridoio.

Così gli afferrò subito la mano e lo

trascinò verso la porta della sua stanza.

Marco non fece alcuna resistenza, anzi la

seguì con la sua stessa rapidità di passi

felpati e falcati. La ragazza chiuse la porta

a chiave, facendo attenzione a spostare

lentamente

il

chiavistello

mezzo

arrugginito per non fare troppo rumore.

Intanto Marco era dietro di lei e

ammirava impassibile il suo bel sederino,

messo ancora più in evidenza dalla gonna

corta e stretta e dal leggero piegarsi della

ragazza mentre armeggiava con la

serratura. Lei si voltò.

«Non dobbiamo fare rumore» gli sussurrò

intimandolo. «Queste pareti sono di

cartone».

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Nemmeno gli sorrise. La sua maschera

esteriore ostentava freddezza e cinismo,

proprio come quella di Marco. Andò vicino

al letto nell’angolo della stanza adiacente

alla porta e cominciò meccanicamente a

spogliarsi, voltandogli le spalle.

La stanza era debolmente illuminata. La

sola luce era quella di una lampada sulla

scrivania. Mentre la ragazza si toglieva

rapidamente prima le scarpe, poi il

maglione e la gonna, riponendole in modo

ordinato nell’armadio vicino e rimanendo

in collant, reggiseno e mutandine, Marco

nemmeno la guardò o si avvicinò, come se

ciò non lo eccitasse e non lo interessasse

affatto.

Piuttosto andò alla scrivania, spinto da

una irrefrenabile curiosità e guardò gli

appunti dei quaderni aperti sotto la luce

della lampada.

Non vide la pagina dove aveva scritto il

suo annuncio. Nella mezz’ora che era

passata dal momento della chiamata la

ragazza aveva probabilmente continuato a

studiare. Il quadernone era ora aperto su

una pagina successiva, che parlava

approfonditamente

dell’equazione

di

Bernoulli.

Quindi

stavolta

era

una

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studentessa di fisica o ingegneria, pensò

Marco.

Così lui si interessò delle formule e della

puntuale

dimostrazione

matematica,

mentre lei intanto si era tolta anche

reggiseno e mutandine e si era voltata

verso di lui, rimanendo inizialmente

stupita per averlo trovato lì impalato

presso la scrivania, con lo sguardo basso

assorto nella lettura.

Marco in realtà si era accorto, con la

coda dell’occhio, che la ragazza si era

voltata, ma rimase apposta con lo sguardo

chino sulle carte, e proprio per questo lei

ora lo stava guardando stizzita. Alla fine il

suo orgoglio di donna non ne poté più.

Si accasciò nuda sul letto rivolta verso di

lui, con il braccio destro steso lungo i

fianchi e le cosce, quello sinistro piegato

col gomito sul cuscino, l’ascella aperta e la

mano che sosteneva più in alto la testa,

mettendo ben in evidenza i seni sodi e

carnosi; quindi gli interruppe l'ostica

lettura di fisica–matematica.

«Non sarai mica venuto qui per studiare

questa roba anche tu…» lo stuzzicò

improvvisamente.

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Marco si spogliò, mentre lei lo guardava

maliziosamente. Poi si stese su di lei e

cominciò a baciarla, ma lei tenne la bocca

chiusa e tirata e lo allontanò subito dal

suo viso. Gli mormorò:

«Non perdere tempo in preliminari.

Penetrami in modo meccanico e regolare,

senza interruzioni prima davanti e poi di

dietro». Lui era visibilmente deluso, ma

obbedì, non potendo fare diversamente.

Mezz’ora dopo Marco era appena uscito

dalla finestra bassa, che si era richiusa

subito dietro di lui e, senza voltarsi,

visibilmente sudato, affrontò la notta buia

e fredda.

Si stava riordinando con la mano i

capelli tutti scompigliati e riassettando la

camicia all’interno dei pantaloni.

Avrebbe voluto chiederle come si

chiamava, anche solo il nome, e se

avrebbero potuto vedersi un’altra volta;

ma finito l’amplesso, la ragazza gli intimò

di andarsene e rivestirsi in fretta, perché

doveva continuare a studiare e non voleva

che eventuali rumori e parole fossero udite

dalle sue compagne d’appartamento

invidiose e impiccione.

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La camicia gli stava un po’ storta,

probabilmente nel buio e per la fretta

aveva mancato di abbottonato male un

occhiello.

Mentre

s’avviava

presso

il

viale

d’ingresso, il suo cellulare nella tasca

posteriore

iniziò

di

nuovo,

inaspettatamente, a vibrare. Attese 3

squilli e rispose con la sua solita voce

profonda, impassibile e tranquilla.

«Pronto, chi è? Chi parla?»

Dopo una breve pausa, ancora:

– «Pronto?»

– «Sei tu quello del messaggio?» rispose

improvvisamente una voce allegra e

quasi ancora infantile, probabilmente

quella di una matricola.

– «Sì» replicò laconicamente il rassegnato

Marco.

– «Vieni al più presto possibile

all’appartamento 3, blocco A delle case

dello studente…»

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L’albero millenario

Poesia–canzone

https://soundcloud.com

/farmboy-antonio-bonifati

/l_albero-millenario

Sotto il grande albero

vedo il mondo lontano.

La vita non ha più tempo

il mondo non ha più senso

Vedo uomini illusi

vedo sogni delusi

Vedo gioia e dolore

vedo amore e rancore

Sotto il vecchio albero

vedo gente distratta

dal denaro, dal potere

dalle cose e dall’avere

Vedo vita passare

vedo amore ignorare

Vedo lusso e ricchezza

vedo guerre e scarsezza

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Ma poi…

Sotto il saggio albero

vedo il mondo cambiare

la speranza tornare

dopo l’era del capitale

Vedo natura selvaggia

non più cemento che s’avanza.

Vedo uomini uguali

nessuno più elemosinare

Ma poi…

D’improvviso mi sono svegliato

non so più quanto abbia sognato

Sotto speranza di un’utopia

se n’è trascorsa la vita mia

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Il campo arato

Favola ecologica

C’era una volta uno stormo di uccellini che

viveva sugli alberi di una grande tenuta a

bassa quota nella Calabria. Per la

vicinanza del mare, qui l’inverno era mite

e gli uccellini riuscivano a sopravvivere

senza dover emigrare. Sugli alberi di ulivo

non raccolti né potati dall'uomo, avevano

fatto i loro nidi di rametti intrecciati.

Ci Cip era l’uccellino più vecchio e il

capo dello stormo. Nella sua lunga

esperienza aveva conosciuto i pericoli che,

dal momento che i grandi uccelli carnivori

come i falchi e le aquile stanno diventando

sempre più rari, si trovano soprattutto a

terra quando si atterra in cerca di cibo.

Essendone

uscito

miracolosamente

salvo, ora istruiva i più giovani a stare

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all’erta e a non fidarsi mai degli altri animali più grandi: i gatti, i cani, la volpe, i

serpenti e soprattutto il più furbo e

pericoloso di tutti: l’uomo.

Era una tranquilla giornata di tarda

primavera. L’estate era vicina e l’erba

adulta nell’uliveto era già secca. Visto

dall’alto,

il

campo

sembrava

un’impenetrabile barriera dorata, da cui

spuntavano le forme contorte degli alberi

d’ulivo, che terminavano con le loro

chiome verde scuro, chiazzate di piccoli

fiori biancastri, in netto contrasto col giallo

intenso delle piante erbacee.

Nel folto dell’erba secca si nascondeva il

cibo ma, diceva Ci Cip:

«Bisogna stare molto attenti quando ci si

avventura là dentro, perché il piatto è

ricco quanto il rischio è elevato. I temibili

serpenti sono sempre in agguato nell’erba

e si muovono di soppiatto, con quella loro

spaventosa testa piatta. Con la sottile

lingua biforcuta sentono l’odore delle

prede e scattano di colpo».

«Il povero uccellino impacciato dall’erba

potrebbe non riuscire ad accorgersi del

pericolo e fare in tempo a librarsi in volo,

rimanendo così schiacciato dalla potente

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morsa di quella bocca e dagli aguzzi denti

veleniferi».

Così Ci Cip istruiva i giovani uccelletti

inesperti, che lo ascoltavano ansiosi e

stupiti, come se stesse raccontando di

incredibili avventure e mostri terribili. Ma

niente c’era di fantasia nelle parole del

vecchio e saggio volatile, perché quella

era la realtà della natura e Ci Cip non

raccontava favole: per quanto fosse

piacevole ascoltare i suoi racconti, in

realtà erano delle lezioni di vita, e la sua

era a tutti gli effetti una scuola, che

insegnava ai nuovi adulti a sopravvivere.

Avrebbe ora dovuto parlare dei gatti che

si arrampicano sugli alberi e minacciano i

nidi con le uova o i piccoli quando,

improvvisamente, si sentì un rombo e un

continuo scoppiettìo, proveniente dalla

strada e sempre più vicino a loro.

Un mostro più grande di tutti, anche di

un uomo e persino di un innocuo cavallo,

faceva sempre più rumore e stava per

entrare nel campo, fumacchiando da una

specie di dritto e sottile tronco verticale

una puzza soffocante, peggio delle

esalazioni del legno bruciato. Avanzava

roteando i suoi grossi piedi neri circolari e

la sua dura fronte era a scaglie orizzontali.

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Per rendere la cosa ancora più temibile,

sulla sua groppa sedeva un uomo, l’essere

più infame della terra, che catturava gli

uccellini e li rinchiudeva in gabbia,

beandosi della loro ingiusta prigionia,

divertito dalla loro sofferenza e dalle grida

di soccorso che invano lanciavano verso i

compagni liberi.

Ci Cip, che mai aveva visto una cosa del

genere, cinguettò la ritirata generale. Tutti

gli uccellini, seguendo i