Il Capitale Disumano by Antonio Bonifati - HTML preview

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alias Farmboy

Poesie e racconti anti–capitalismo

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© Copyright 2017 Antonio Bonifati.

Responsabile della pubblicazione: Antonio Bonifati.

2ª edizione. Libro pubblicato a cura dell’autore.

This work is licensed under a Creative Commons

Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0

International License.

Quest’opera è distribuita con Licenza Creative

Commons Attribuzione - Non commerciale - Non

opere derivate 4.0 Internazionale.

La storia e i nomi dei personaggi dei seguenti

racconti e poesie sono opera di fantasia. Ogni

riferimento a persone, cose o fatti realmente

accaduti è puramente casuale e non intenzionale.

La stampa, la reimpaginazione, la diffusione e il

prestito di questo libro sono legali, purché non ci

sia alcun fine di lucro e i contenuti, il nome

dell'autore e queste note di copyright vengano

lasciate inalterate.

Per donazioni, prenotazioni di copie stampate,

autorizzazioni per traduzioni in lingua straniera o

altro, contattare l'autore all'indirizzo email

< antonio.bonifati@gmail.com>.

Ringrazio il Prof. Mario Coronello per i preziosi

consigli e il paziente lavoro di editing del testo.

Indice

Introduzione dell'autore

7

Il sosia

17

L’abbunnanzia

55

Lo studente intraprendente

57

L’albero millenario

71

Il campo arato

73

L’Animale

87

Il fico bambino

89

La società del capitale

95

Don Ninì

97

Sogno anarchico

119

La fiera di Scarborough

121

Marisol

123

Introduzione

dell'autore

"Oggigiorno si conosce

il prezzo di tutto,

ma non si conosce

il valore di niente"

– Oscar Wilde

Prima di 20.000 anni fa l'uomo era

cacciatore e raccoglitore. Poi è iniziata

l'agricoltura e l'allevamento, una forma

primitiva di tecnologia. Infatti il carro, la

zappa, l'aratro, il mulino sono state le

principali realizzazioni tecniche di questo

periodo.

Con l'agricoltura l'uomo, invece di

essere nomade e spostarsi per raccogliere

quello che nasce spontaneamente nel

luogo dove ci sono le condizioni affinché

questo avvenga da sé, si è stabilito in un

posto e ha cercato lui stesso di creare le

condizioni per far nascere in quel posto

tutto quello di cui aveva bisogno.

Questa sua idea si è spesso rivelata

problematica e soggetta a insuccessi. Già

7

il solo fatto di indovinare il momento

giusto per la semina è difficile, mentre se

le sementi si trovano già in terra, la natura

sa quando è meglio farle spuntare e ogni

anno i tempi sono diversi.

Inoltre è spesso difficile immaginare

quali possano essere le conseguenze del

lavoro umano che interferiscono con il

corso della natura.

Ad esempio, zappando la terra nel

periodo invernale o autunnale, si può

accelerare la crescita di alcune piante,

come ad es. le fave, ma se poi arrivano i

geloni, le piante più sviluppate di solito

non resistono, mentre quelle cresciute più

lentamente secondo natura subiscono

meno danni ed hanno maggiori capacità di

ripresa e comunque accelerano la loro

crescita durante la prima primavera.

L'uomo, già con questa sua prima forma

di tecnologia, l'agricoltura, ha pensato di

volersi sostituire alla natura ma, non

potendone

avere

una

conoscenza

completa, è rimasto spesso con iscorno e

beffato. Non è nemmeno detto che la

natura sia conoscibile. Potrebbe benissimo

darsi che, come sosteneva il filosofo

giapponese Masanobu Fukuoka, essa sia

inconoscibile; difatti a tutt'oggi rimane

8

ancora qualcosa di magico come lo era

per l'uomo primitivo.

Per quanto i nostri mezzi di indagine si

stiano facendo sempre più precisi per

indagare il piccolo dell'atomo e il grande

dell'universo, non sembra che ci sia un

traguardo

che

completi

la

nostra

conoscenza; anzi, man mano che la

conoscenza

scientifica

aumenta,

si

aggiungono domande su domande che

diventano sempre più raffinate e difficili.

Tornando all'agricoltura, l'uomo sperava

di poter soddisfare con essa più facilmente

i suoi bisogni, ma in realtà il lavoro

necessario non diminuì. Con la formazione

delle prime città i problemi anzi

aumentarono. Concentrare un elevato

numero di persone in uno spazio ristretto

ha creato problemi ambientali, igienici, di

approvvigionamento, trasporti e sicurezza

e non ha aumentato la ricchezza e la

felicità umana.

Per secoli il mondo è andato avanti così:

schiavitù, servi della gleba, colonialismo,

imperialismo,

sfruttamento

del

proletariato da parte di una élite che

accampava

diritti

di

nobiltà

e

intermediazione religiosa con Dio, e che in

seguito è stata sostituita dai ricchi

9

capitalisti

proprietari

dei

mezzi

di

produzione industriale.

Sono queste brutte cose che hanno

permesso solo a pochi uomini di vivere nel

lusso, mentre a tutti gli altri non è stata

concessa che una miserabile vita, spesso

avulsa persino dal contatto con la natura

incontaminata e dalla sua gratuita

generosità.

A distanza di non più di 3 secoli

dall'inizio della rivoluzione industriale,

nonostante le apparenze, la situazione non

è sostanzialmente migliorata, anzi per

certi

versi

è

andata

sempre

più

peggiorando. La tecnologia ha continuato

a fare progressi, dai telai meccanici e dalle

macchine a vapore si è passati ai cellulari

e ai computer, ma il lavoro dell'uomo non

è diminuito.

Nonostante la tecnologia, abbiamo

meno tempo libero di prima. Le nostre

necessità di base sono le stesse di

130.000 anni fa: il cibo, un riparo contro le

intemperie e vestiti per difendersi dal

freddo, ma non sono ancora garantite per

tutti.

Oggi esiste un grande substrato di

economia dei servizi e del commercio, ma

10

la base economica rimane sempre la

produzione del cibo e degli oggetti utili

alla sopravvivenza, che sta diventando

sempre meno qualitativa e problematica.

L'inquinamento e la poca disponibilità di

cibi freschi e naturali ha minato la salute

dell'uomo, diminuendo la sua aspettativa

di vita, nonostante la sua presunzione di

poter capire il funzionamento del corpo

umano e curarlo con la medicina.

Ma in realtà il corpo dell'uomo è una

complessa manifestazione della natura ed

è probabile che sia anch'esso inconoscibile

come la natura stessa.

La

grossolana

tecnologia

medica

dell'uomo difatti cura, e spesso altrettanto

grossolanamente,

solo

i

sintomi

o

manifestazioni esterne delle malattie e

non ha idea delle cause interne.

L'ignoranza dell'uomo è tale che il suo

intervento spesso produce pericolosi

squilibri: nel tentativo di curare o anche

solo prevenire una malattia, se ne possono

causare altre ancora più gravi.

Per soddisfare questi suoi bisogni di

base,

più

altri

spesso

inutili

e

insoddisfacenti, l'uomo di oggi è costretto

a lavorare anche più dei primitivi e spesso

11

in condizioni peggiori: sotto stress, in un ambiente inquinato e senza maggiore

garanzia di successo di quella che

avevano i primi contadini.

Com'è stato possibile che l'avanzamento

tecnologico

non

abbia

migliorato

decisamente le condizioni generali di vita

di tutti?

Da una parte perché la tecnologia è

stata abusata e spesso usata contro

natura, senza chiedersi quali fossero le

conseguenze e senza nemmeno imparare

dai propri errori. Questo ha certamente

diminuito il valore e l'effetto della

tecnologia, ma non basta da solo a

spiegare il mancato benessere per tutti.

La risposta è ovvia: la diseguaglianza.

Come dire, per ogni 100.000 poveri c'è un

ricco. Ancora oggi c'è un ristretto numero

di persone che si è arricchito a dismisura,

mentre la maggior parte della gente

lavora per loro.

Questo tipo di organizzazione sociale ed

economica fortemente antidemocratica è

stata imposta dall'alto come la migliore

possibile. Si tratta della più grande truffa

perpetrata ai danni delle masse, ma le

proteste sono state pochissime.

12

Il sistema economico capitalista ha un

andamento ciclico instabile e produce crisi

periodiche. Nel mio paese, l'Italia, il

capitalismo non ha mai funzionato in un

regime

di

vera

legalità

e

libera

concorrenza. Piuttosto è degenerato in

corruzione, malapolitica e criminalità, con

il risultato che le risorse naturali, artistiche

e intellettuali del paese sono state

rovinate.

Intere generazioni, formate da giovani e

non, sono oggi ridotte in povertà maggiore

dei loro nonni e sono sempre di meno le

categorie di lavoratori che riescono a

mantenere i loro diritti. L'emigrazione

giovanile ha privato il paese dei migliori

cervelli, consegnando al capitalismo

estero risorse che spesso non sono state

adeguatamente apprezzate nemmeno nel

Paese di arrivo. Eppure non c'è stata

alcuna protesta, nemmeno una flebile

manifestazione di dissenso.

Gli Stati dovrebbero porre un freno ai

guadagni dei singoli, introducendo sia un

limite superiore sia uno inferiore di reddito

individuale. Ma piuttosto che occuparsi del

benessere della gente essi sono servi dei

padroni capitalisti e nessuna misura di

questo genere è stata mai presa, in

nessuno Stato del mondo.

13

Il capitalismo è stato lasciato libero di agire, con la vana speranza di una sua

auto-regolazione

e

automatico

funzionamento, ma questo capitalismo

selvaggio si è rivelato essere il peggiore di

tutti i possibili sistemi economici.

Dopo tanti fallimenti, oggi l'unica via

d'uscita per salvare la terra dal degrado e

dall'inquinamento,

produrre

stabilità,

rendere di nuovo la gente felice di vivere è

il ritorno alla civiltà contadina e agli

antichi mestieri, ad una vita più semplice

e vera ed a contatto con la natura, dove la

produzione non è fatta di oggetti tutti

uguali, ma al contrario tutti diversi,

artistici e personalizzati.

L'uomo deve riconoscere di aver

sbagliato e deve fare un gran passo

indietro. Le città sono strapiene come

formicai, care, inquinate e piene di ladri,

mentre le campagne o sono spopolate o

vengono straziate dalle imprese agricole,

che producono intensivamente quel cibo

insipido e pieno di chimici per sfamare più

del 50% della popolazione che vive

concentrata nelle città.

Però manca la volontà dei politici e

anche quella del popolo per attuare tutto

questo. Se questo mio libro potrà aprire gli

14

occhi alla gente allora avrà avuto uno

scopo. Purtroppo il riconoscimento di un

male è inutile se poi ci facciamo vincere

dalla pigrizia e non passiamo all'azione

necessaria per combatterlo.

15

16

Il sosia

Racconto breve

Parigi. Champs–Élysées. Un caffé con i

tavolini all’aperto in una placida sera

d’estate. Sullo sfondo svetta l’Arco di

Trionfo.

François è un pittore, che per vivere fa il

ritrattista di strada. Quando non ci sono

clienti in posa, disegna volti, conosciuti o

immaginari, che mette in bella mostra per

attirare i clienti.

Una limousine nera si ferma davanti al

caffé. Ne scende un uomo di mezz’età in

frac, dal volto tirato, seguito da due

guardie del corpo che si mantengono

rispettosamente a distanza e scrutano i

dintorni. Con espressione triste e annoiata

si siede ad un tavolino all’aperto e ordina

un caffé francese amaro e un croissant.

17

Si

guarda

attorno

distrattamente,

quando nota il pittore seduto sulla strada lì

vicino intento a disegnare. Uno scatto

improvviso quasi lo fa balzare in piedi, ma

riesce a trattenere la reazione fisica.

Quell’uomo gli somiglia paurosamente.

Se non fosse per la giacca logora e i

pantaloni con le pezze, le scarpe dozzinali,

il cappello sgualcito, non lo potrebbero

distinguere nemmeno le buonanime dei

suoi genitori.

Era come guardarsi allo specchio: i

lineamenti del viso uguali. La stessa fronte

alta, la grossa attaccatura del naso, il viso

lungo, gli zigomi alti e carnosi. Come se

non bastasse, i due dovevano avere

all’incirca anche la stessa età.

Philippe, questo era il nome del

magnate finanziario, era stupito da tante

coincidenze. D’improvviso il pittore, che

non aveva affatto notato gli sguardi curiosi

del suo sosia, si alzò ed entrò nel bar.

Philippe bevve un altro sorso di caffé,

ostentando tranquillità, per nascondere la

sua ansiosa irrequietezza agli occhi delle

guardie del corpo e, dopo pochi secondi,

entrò anche lui all’interno del caffé senza

fretta, attento a non mostrare la sua

18

agitazione. Come di riflesso una delle sue

guardie del corpo lo seguì.

Philippe vide con la coda dell’occhio che

il pittore stava entrando nella toilette.

Allora ebbe un’idea, per liberarsi della

guardia che altrimenti non l’avrebbe perso

di vista un momento. Entrò anche lui nel

bagno. Così il gorilla si dovette fermare ad

aspettare fuori della porta.

– «Come ti chiami?»

– «François»

– «Lo sai chi sono io?»

– «No»

– «Sono Philippe Reinisch, il più grande

banchiere del mondo».

Al pittore, abituato a fissare i minimi

dettagli dei lineamenti dei volti, sembrava

guardarsi in uno specchio magico che, di

colpo, l’aveva trasformato in un gran

signore. Se non fosse stato in preda allo

stupore per la somiglianza così perfetta,

sarebbe arrossito per non sapere di quale

personaggio si trattava.

François non leggeva i giornali e non

aveva nemmeno tempo di guardare la

televisione. A dire il vero, non ce l’aveva

proprio la televisione e non avrebbe

potuto permettersela. Non c’era altro nella

19

sua vita che la pittura e la preoccupazione

di tirare avanti e di non riuscire ad arrivare

alla fine del mese per pagare l’affitto del

suo squallido monolocale a Montmartre, il

quartiere degli artisti a Parigi.

«Ascoltami bene, non abbiamo tanto

tempo. Si tratta di uno scherzo.

Scambiamoci gli abiti. Dammi tutto, anche

i tuoi documenti; io ti darò i miei».

E gli mostrò un portafoglio pieno di

biglietti di grossa taglia e varie carte di

credito.

L’autorità dell’uomo e quel suo sguardo

serio e razionale era tale da incutere

paura e François cominciò a spogliarsi

come lui gli aveva ordinato. Nel giro di

pochi minuti lo scambio era avvenuto.

Philippe gli aveva ordinato di uscire,

pagare la consumazione e lasciare una

grossa mancia al cameriere, avviandosi

poi verso la limousine.

Gli aveva intimato di non rivelare a

nessuno la sua vera identità e lo scherzo

che avevano congegnato. E di chiedere

all’autista di farsi riaccompagnare qui alla

stessa ora dopo una settimana, quando

con lo stesso sistema avrebbero ripreso le

loro rispettive identità, promettendogli

20

anche una forte somma di denaro alla fine

del gioco.

Lui, per non destare sospetti, sarebbe

uscito dalla toilette solo un paio di minuti

dopo e avrebbe preso il suo posto di

ritrattista.

In qualunque situazione si fosse trovato,

avrebbe dovuto comportarsi in modo del

tutto naturale. Eventuali dimenticanze,

stranezze e diversità sarebbero state

attribuite alla natura eccentrica di un ricco

piuttosto che alla sua diversa identità,

potendo stare sicuro che nessuno avrebbe

scoperto l’inganno.

«Un ultimo particolare ed è perfetto.

Cerchi di imitare la mia voce. Ci provi

adesso».

«Sì così va bene, non importa quello che

dice, basta che usi sempre un tono

autoritario. Qual’è l’indirizzo di casa sua?»

Philippe se lo segnò su un foglietto.

Tutto avvenne come previsto e François

nei panni di Philippe non destò alcun

sospetto nelle sue robuste guardie del

21

corpo e persino il vecchio autista che lo serviva da sempre non notò alcun

cambiamento.

La macchina ripartì subito velocemente

in direzione dell’arco di Trionfo, proseguì

lungo il Viale della Grande Armata e sostò

presso il Palazzo del Congresso.

Qui si teneva una riunione a porte

chiuse di tutti i più grandi banchieri del

mondo. Il tema verteva sulla recente crisi

economica e le strategie per superarla

senza che che né le banche, né i politici

che aiutavano a sostenerne gl'interessi ne

subissero danni.

La discussione si teneva ad interventi

singoli. Chi voleva parlare si prenotava di

volta in volta premendo un bottone e

aspettando che venisse il suo turno. Solo

quando uno aveva finito, il prossimo in

coda rispondeva o esprimeva le sue

opinioni.

François, che non sapeva niente, tranne

il fatto che da quando si vociferava che

c’era la crisi, la gente s’era fatta più

parsimoniosa e lui vendeva meno ritratti,

ascoltò per un po’ le dichiarazioni di molti

altri banchieri, prima di decidersi a

prenotarsi per dire la sua, proprio in un

22

momento caldo della discussione, quando

oramai s’era fatto un’idea di quali fossero

gli scopi e gl'interessi di questa gente, in

base a quello che s’era detto finora.

Fosse per divertimento, ma anche per

sfida, era deciso in tutto e per tutto a fare

la parte di Philippe il grande banchiere.

Del resto gli era sempre piaciuto fare

l’attore. Aveva sempre pensato che l’arte

è unica. Un artista è uno che imita la

realtà a modo suo. Così un pittore può

dipingere una faccia che immagina e un

attore può plasmare sul suo volto la stessa

espressione,

anch’essa

frutto

dell’immaginazione.

L’aria sorniona che François assunse

quando

disse

queste

parole

era

esattamente quella che l’attore–pittore

aveva in mente e avrebbe potuto

dipingere in tutti i particolari.

«Miei cari signori» disse.

«E’ chiaro che la crisi si supererà solo se la

gente è disposta a fare sacrifici